Un Crocifisso a Nusco - P. Livio Poloniato

 

by Padre Livio Poloniato Ofm Conv. e Don Dino Tisato


Racconto del parroco don Dino Tisato ...
 

 Nella Chiesa di Fontigliano, sopra un altare laterale, c'è un Crocifisso in gesso, a grandezza naturale, con ogni probabilità risalente alla tarda metà del XIX secolo. In più parti il gesso, col tempo, era scoppiato, lasciando intravvedere ai giorni nostri una struttura interna lignea. Ho sempre pensato che le lesioni fossero una cosa naturale, conseguenza del terremoto e dell'ambiente molto umido, come ho sempre pensato che in ogni statua di gesso ci fosse una struttura interna lignea portante. Un giorno, vedendo nel laboratorio di restauro nell'episcopio di Nusco l'operatore addetto al reintegro, che cercava di ricomporre vari pezzi di una statua di S. Rita, caduta rovinosamente dal suo piedistallo, mi è venuto spontaneo dirgli: "Perché non metti all'interno una intelaiatura lignea per collegare le varie parti?" La risposta è stata: "Non è possibile, perché il legno è incompatibile con il gesso!,, Ho pensato subito al crocifisso di Fontigliano.L'ho pregato di venire con me e l'ho accompagnato a fare un sopralluogo nella Chiesa di Fontigliano. Effettivamente le lesioni sul crocifisso erano state causate non tanto, dal terremoto e dall'umidità, quanto appunto dalla legge naturale che il legno inserito in una struttura di gesso era conseguenza di questa legge: istes res non coutuntur. I due materiali non andavano d'accordo! Il giorno dopo abbiamo trasportato il crocifisso di gesso nel laboratorio e l'abbiamo aperto. All'interno abbiamo rinvenuto, conservato come una reliquia, un crocifisso di legno molto antico. L'oggetto doveva essere stato molto importante, se era stato a tutti i costi conservato, pur mancando di mani, di piedi, di capo e con il petto e il panneggio scorticati.

Ricomposto il crocifisso di gesso e riportato al suo posto nella Chiesa di Fontigliano, abbiamo capito subito che non si poteva in alcun modo restaurare la reliquia in esso contenuta. Si aprivano tte strade:

 - la prima era quella di farne legna da ardere. Era un parere condiviso da quasi tutti coloro che vedevano questo moncone di legno. Persino un funzionario della Sovrintendenza alle belle arti, constatando come un eventuale restauro fosse impossibile e inutile, era di questo parere.

- La seconda era quello di esporlo, cosi com'era, in un qualche museo, quale memoria storica delle ingiurie fattegli dal tempo e dagli uomini: tesi sostenuta in modo particolare dal Superiore, Guardiano del ricostituito ( 1931) convento di s. Francesco a folloni.

- La terza era di considerare questi resti come reliquie e, quindi, non restaurare ma ripristinare l'opera in modo che tornasse a diventare oggetto di venerazione del popolo di Dio: tesi sostenuta caparbiamente da un sacerdote - Officiale vaticano -, da anni visitatore "'pastorale" della parrocchia di Nusco.

D'altra parte, questa era stata anche l'intenzione dell'artista del XIX secolo, che aveva "nascosto" queste reliquie dentro un Cristo di gesso, depositato nella chiesta abbaziale immersa nei boschi di Fontigliano.

P. Livio: riflessioni e approfondimenti ... 

Che fare? Pensieri complessi, intanto, si agitavano nelle menti, mentre proseguiva serena la vita pastorale della comunità nuscana Alla fine bisognava decidere, poiché quel moncherino era rimasto (con i nostri complessi pensieri) in un angolo un po' abbandonato (benché sicuro) della canonica arcipretale. Ad un certo punto, giunse il tempo della decisione: abbiamo scelto la terza via. Penso che Qualcuno abbia guidato la mano di coloro che hanno dovuto ripristinare le parti mancanti. Non c'era fretta. Il crocifisso è stato nel laboratorio per più di un anno, oggetto di continue ricerche, pensieri e analisi. Si trattava di individuare le ragioni e le provenienze di un pezzo di legno piuttosto antico, che lasciava tutti affascinati, guardinghi, curiosi e ''ignoranti". Però occorreva agire. Dalla inquietudine testé espressa, si è potuto rilevare che, oltre alla vetustà, quel manufatto era di straordinaria esecuzione. Non solo. Esso era stato preservato perché circondato da un pervicace e struggente affetto. Era, in effetti, un oggetto di lunghissima devozione molto personale, di una comunità. che ne conservava memoria ab immemorabili. Occorreva fare delle ricerche. Ne andava il bisogno di connessione storica fra generazioni lungo secoli di presenza in un territorio, in questo caso quello di Fontigliano. Perché si trovava li una cosa tanto antica? Furono intraprese vie di indagine iconografica e iconologica, poiché la curiosità si fece via via più intensa. Come poteva un oggetto cosi bello essere stato scolpito in loco o in area? Chi aveva avuto l'idea di far presente il Christus patiens. quando tutta la tradizione del Principato Ultra risentiva tuttora delle reminiscenze bizantine del Christus Rex ex croce, crocifisso, ma glorioso? Non sembrava ragionevole, poiché a Montella e nella zona non esisteva una scuola scultorea così raffinata. Qualcosa doveva essere successo. Forse a causa della spiritualità francescana? Nel corso delle ricerche effettuate, si scoprì che a S. Lorenzo a Napoli, residenza ab antiquo dei Frati Minori Conventua)j, esisteva un crocifisso straordinariamente simile al manufatto ritrovato. Del crocifisso di Napoli si conosceva molto bene la storia: si sa per certo che era stato fatto in epoca angioina ed era stato conservato molto bene, nonostante le leggi del regno di Murat. Il complesso conventuale di s. Francesco a Folloni, guarda caso, era residenza sin dalla metà del '200 di una comunità di Frati Minori Conventuali, dissolti, come in tutto il regno di Napoli, da Murat, cognato di Napoleone. Interrogato, il Guardiano di quel convento (per 18 anni) cominciò a raccontare la storia di quel luogo e venne fuori l'affascinante racconto della cappella del crocifisso di Folloni, molto antica. Egli aveva invitato anche un'università americana per fare la planimetria storica del complesso santuariale di s. Francesco a Folloni, nonché (con specifica attenzione) sul luogo ove era venerata ab antiquo una imago Christi crucifixi. Due più due fa quattro, ci siamo detti.

Per inciso, il passaggio tra la raffigurazione del Cristo .. di s. Damiano", di stile inequivocabilmente bizantino, al Christus patiens come lo conosciamo oggi nella storia della devotio latina, avviene in tempi brevissimi ed è straordinaria opera devozionale, storica, liturgica del francescanesimo. Trattasi di una trentina d'anni! Quel crocifisso di Folloni era andato perduto durante le devastazioni del regno di Murat nel 1807. Per quale motivo? Si opina che la popolazione del luogo, la cui devozione a quel crocifisso era secolare ed intensa, abbia voluto sottrarre alla furia ~ barbara della soldataglia di Bonaparte il simulacro tanto venerato, e l'abbia voluta ~ piantare nel mezzo del nuovo cimitero affinché vegliasse sui morti ivi sepolti. Sono note le disposizioni del Primo Console Bonaparte sulle inumazioni dei morti ( I 798), e cioè non si potevano più fare sepolture all'interno delle chiese o santuari, bensì dovevano approntarsi dei luoghi all'esterno della città. Tale manufatto di Folloni, scampato alla devastazione, ivi rimase per un'ottantina d'anni, esposto all'aggressione degli agenti atmosferici: nudo cosi com'era, senza alcuna protezione.Poiché era stato donato, assieme a quello di s. Lorenzo, dal re Carlo Il lo Zoppo ai Conventuali, si trattava di un materiale molto antico e perciò facilmente esposto all'implacabilità della metereologia. Più sotto si dà ragione di tale donazione. Eppure, circa nel 1880, vedendone il pietoso degrado, il popolo fedele non si volle congedare dalla propria devozione e decise di inserire quella reliquia in un luogo che ne preservasse la forza devozionale. I Conventuali erano stati dissolti dalle leggi napoleoniche e quindi non erano più a Folloni. Ma la memoria era rimasta tra i fedeli, come pure la cappella del crocifisso, pur essendovi i frati ritornati nel 1817. Nell'arco dei dieci anni antecedenti ( 1 807-I 8 I 7), il convento era stato depredato di ogni suo bene mobile ed immobile, tanto che, restaurato Ferdinando IV di Borbone sul trono di Napoli, questi previde delle compensazioni pecuniarie dall'estinto feudalesimo per opera napoleonica (Giuseppe re di Napoli), previste dal Congresso di Vienna. Purtroppo, le conosciute leggi eversive Siccardi, emanate dal parlamento savoiardo nel 1854 e successivamente estese in man.iera abusiva (cioè senza passaggio parlamentare, né controfirma regale necessaria alla validità dell'atto, dopo la conquista della Penisola) all'intero territorio italiano conquistato dal Regno di Piemonte nel 1861, restituirono alla precarietà del regno sabaudo, provocata dal tempo del regno di Murat, i beni ecclesiastici incamerati mediante illegittima confisca. L'impianto ideologico di Murat era tutto li: il Regno di Piemonte-Sardegna lo fece integralmente proprio.

Tali beni erano stati ridotti a poca cosa, dato che la cosiddetta "mano morta" (definizione della Rivoluzione francese, ripresa paro paro da Filippo il Bello di Francia!) garantiva a s. Francesco a Folloni, sino al 1799, le rendite necessarie per la vita complessiva del convento (fraternità, attività pastorale, capacità artistica e dimensione culturale, tipo biblioteca). Non sapendo come salvare tale veneratissima immagine, al tempo di Murat, è questa la supposizione, i fedeli di Folloni posero quel crocifisso all'interno del gesso ottocentesco su menzionato, con inserita la venerata reliquia, nella chiesetta di Fontigliano, vicinissima a san Francesco a Folloni. Da li giunse a Nusco, meno di una decina d'anni fa, dopo la fortunosa riscoperta di cui si è parlato sopra. Si è poi appurato che la corte angioina di Napoli aveva avuto strettissimi legami con i Conventuali, tanto che fra Guglielmo da Nusco, Conventuale, nel 1260-1288, fu fatto amministratore ed esecutore testamentario del re Carlo II lo Zoppo d'Angiò. Dunque, egli era l'economo, quanto ai lasciti pertinenti alla corona angioina, del re stesso. Nusco quel tempo era già in possesso dell'abbandonata chiesa di Fontigliano, di vetusta memoria longobarda. Sembra altamente probabile, quindi, che come gesto di riconoscenza e di amicizia, Carlo II lo Zoppo abbia voluto donare quei due crocifissi ai conventi di Napoli e di Montella. Ecco, dunque, l'origine artistica altamente raffinata dei due manufatti: l'arte angioina a Napoli si dimostrò culturalmente molto ben piantata, capace di produrre opere di altissimo livello. Ulteriore prova di tale raffinata arte ne sarebbe anche la statua della Madonna di Fontigliano, appena riscoperta, di sicura origine angioina, databile al primo '300, se non ancora più antica. Occorre notare che sono molte le madonne della Provenza, feudo d'origine degli Angiò, dove sono state preservate tante statue della Madonna in trono, che tengono in braccio ( e lo presentano ai devoti) il bambino Gesù. Si vuole, a tale proposito, contestare la bizzarra ipotesi che la Madonna di Fontigliano abbia reminiscenze abruzzesi o discendenze bizantine immediate, quando la fattura e la postura della Vergine in trono, cosi come si presenta nel XII-XITI secolo, ha già un'impronta solo ed esclusivamente latina. Non si nega l'idea della Regina Coelorum (= Theotokos) di ascendenza teologica efesina, ma si contesta la indicazione di influenza abruzzese-bizantina, nella forma giunta a noi: essa è chiaramente occidentale con caratteri sviluppati in un contesto angioino di origine provenzale. Nell'arco di una trentina d'anni avviene una rivoluzione iconografica in ambito italiano (ed europeo) circa la rappresentazione del crocifisso: dal resurrectus in cruce al patiens crucifixus.  Per tornare all'oggetto della presente nota, da quanto è stato sopra esposto, si ritiene che il crocifisso di Nusco non sia, dunque, oggi un oggetto da museo, poiché se ne snaturerebbe la vera storia, fatta di devozione e di intenso affetto spirituale, indice di una rivoluzione culturale svoltasi ad opera del francescanesimo dal 1230 al 1260. Quello di Fontigliano è testimone straordinario di tale rivoluzione. Esso è stato secolare oggetto di venerazione del popolo di Dio e, per questa ragione, è stato Qggi reintegrato nella sua natura visiva e restituito al culto in un luogo sacro, quale è la cattedrale di Nusco. Negare. in virtù di un presunto dovere di salvaguardia di un manufatto cosi come pervenuto a noi, senza tener conto della vera storia ecclesiale, significa compiere uno scempio della vera destinazione che il popolo, che l'ha prodotto, lo ba da secoli considerato. Tutti conoscono la legge dello Stato circa la conservazione dei beni artistici. A tale disposizione dello Stato moderno manca solo la preservazione delle motivazioni per cui l'opera d'arte è stata commissionata ed eseguita: trattasi di un concetto beotamente positivista, di chi non intravede il fine dell'oggetto, ma si ferma all'arida esecuzione. Questa mera considerazione oggettuale deve inchinarsi alla forza della fede di un popolo, per non tradire il popolo stesso e la sua fede, che ha reso possibile l'opera d'arte (la committenza), nonché la sua identità peculiare e il destino per cui essa era stata commissionata.

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